Le banche etiche sono più impegnate rispetto alle banche tradizionali nell’erogazione di credito. Le seconde, invece, prediligono attività prettamente finanziarie. Inoltre le banche etiche mostrano parametri di solidità del capitale mediamente superiori. Questo è quanto emerge dall’anticipazione del 7° Rapporto sulla finanza etica in Europa promosso da Fondazione Finanza Etica, presentata a FestiValori, il primo festival dedicato alla finanza etica in Italia.
Il rapporto. L’analisi mette a confronto 60 banche significative europee, sottoposte alla vigilanza diretta della BCE, con 26 banche etiche europee associate a GABV (Global Alliance for Banking on Values) e FEBEA (Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative), tra cui Banca Etica per l’Italia. Per entrambi i gruppi sono state scelte solo le banche per le quali fossero disponibili dati di bilancio per 10 anni consecutivi, fino al 31 dicembre 2022. Capitale, qualità degli attivi e della gestione, profitti e liquidità: questi i 5 parametri presi in considerazione dal modello CAMEL usato per la valutazione degli istituti di credito.
Il focus delle banche etiche è sull’economia reale. Dal rapporto emerge che le banche etiche si caratterizzano per essere maggiormente focalizzate sull’erogazione di credito all’economia reale, che rappresenta infatti quasi il 70% dei loro attivi, mentre quelle tradizionali, molte tra le too big to fail, si fermano al 51,6% degli attivi, preferendo attività finanziarie con meno rischi, come i titoli di Stato, o più speculative. Questa propensione decisamente maggiore all’erogazione di credito da parte delle banche etiche spiega in parte anche la differenza relativa al dato sui costi operativi in rapporto ai ricavi (cost-to-income ratio, CIR): le banche etiche hanno in media un CIR del 65,74% a fronte del 52,60% delle banche mainstream. È comprensibile che il rapporto cost/income sia più basso per le banche che non concedono crediti, o ne concedono molto pochi, poiché l’attività creditizia è ad alta intensità di impiego di personale e di pratiche amministrative e, a differenza dell’attività di investimento finanziario, non può essere interamente digitalizzata ed è, quindi, molto più costosa. A questo si deve aggiungere che le banche etiche eseguono istruttorie più approfondite prima di concedere crediti: infatti, alla normale istruttoria finanziaria si somma la verifica di aspetti sociali e ambientali.
Questa esposizione degli istituti di credito tradizionali alle attività finanziarie è evidente anche se si analizza il ROE (utile netto/patrimonio netto). Se è vero, infatti, che nel 2022 questo indicatore è stato inferiore per le banche etiche (5,93%) rispetto alle “significative” (9,18%), dal 2013 al 2022 non è sempre stato così: in cinque anni su dieci, il ROE delle banche etiche è stato più alto, anche in modo molto rilevante (+5,85 punti percentuali nel 2013) rispetto a quello delle banche significative. Questo perché le grandi banche hanno sofferto la crisi del 2007-2008 e si sono riprese lentamente, mentre le banche etiche, che non erano così esposte ai mercati finanziari, non hanno avuto gravi contraccolpi e il loro ROE è sempre stato costantemente positivo e in media intorno al 5%. Negli ultimi due anni analizzati sembra che le banche significative siano ormai definitivamente uscite dalla crisi, generando un ROE più elevato rispetto alle banche etiche.
Altra differenza tra le due tipologie di banche sta nel fatto che le banche etiche possiedono in media una maggiore adeguatezza del capitale, con un Tier 1 ratio del 23,32% rispetto al 17,23% delle grandi banche, dimostrando una solida capacità di assorbire eventuali perdite nelle fasi di crisi generalizzata.
“Il 7° Rapporto sulla finanza etica in Europa – commenta Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica – confronta banche etiche e grandi banche sistemiche europee, mostrando innanzitutto che le prime sono solide e redditizie quanto le seconde, e che l’adozione di un modello diverso di “fare banca e finanza”, eticamente orientato, sa incidere concretamente sull’economia reale e sulla società. Tramite una serie di indicatori affinati man mano, a costruire una serie storica solida arricchita in 7 anni di lavoro, lo studio rileva la capacità trasformativa e di contaminazione virtuosa delle banche etiche, le quali non investono in settori nocivi come l’energia fossile e l’industria bellica, e indirizzano invece i capitali verso l’economia civile, la green economy e attività con impatti sociali e ambientali positivi, in linea con i valori della finanza etica”.
“La finanza etica – ricorda Anna Fasano, presidente di Banca Etica – è una scelta di campo, è una finanza di pace orientata al benessere della collettività, e si traduce direttamente nella costruzione del modello di business realizzato dalle banche etiche europee. Il 7° Rapporto sulla finanza etica in Europa lo testimonia con i numeri, ma la differenza tra le banche etiche e quelle mainstream sta, ad esempio, nel contributo che le cosiddette banche “significative”, incluse quelle europee oggetto di questo studio, hanno offerto nel 2023 per raggiungere la cifra di 2200 miliardi di dollari destinata globalmente alle spese nel comparto della Difesa. In direzione opposta, le banche etiche marcano la loro distintività proponendo soluzioni finanziarie dirette innanzitutto ad alimentare imprese rispettose dell’ambiente e iniziative economiche nell’ambito dell’economia sociale, capitolo chiave di sviluppo per un’Europa più equa e coesa”.