Democrazia energetica: l’obiettivo è lontano. «Servono scelte coraggiose e non condizionate dalle lobby»

Con lo svilupparsi delle produzioni energetiche rinnovabili, l’energia sarà più democratica, ma non troppo. Il mondo della produzione e distribuzione energetica, infatti, rimane ancora dominato dalle grandi aziende e gli investimenti richiesti nelle rinnovabili per poter centrare gli obiettivi al 2030 e 2050 (che nessuno, comunque, riuscirà a centrare) sono talmente ingenti da non poter essere affrontati se non da grandi investitori, fondi pensione e grandi aziende che hanno la liquidità necessaria. In ogni caso, la possibilità dei cittadini e delle piccole aziende di riunirsi in comunità energetiche o di realizzare piccoli impianti fotovoltaici, a biomasse o eolici, potrà avvicinare le fonti di produzione ai luoghi di consumo, portare sviluppo economico e lavoro ai territori e consentire qualche risparmio sulle bollette con, quindi, una maggior “democrazia energetica”.

Sono le valutazioni emerse durante il terzo incontro di “Economia sotto l’ombrellone” 2024 a Lignano Sabbiadoro, che sul tema: “Energia democratica” ha visto gli interventi degli esperti di produzioni energetiche rinnovabili, Eros Miani, Marzio Ottone e Marco Tam moderati dal giornalista e direttore editoriale Nord Est di Eo Ipso, Carlo Tomaso Parmegiani.

«L’energia – ha spiegato Eros Miani, presidente della Fototherm di Gonars (Udine) uno dei principali produttori e installatori di sistemi fotovoltaici in Italia che gestisce anche direttamente numerosi parchi fotovoltaici – è oggi un bene fondamentale che condiziona gli assetti geopolitici e non di rado è alla base delle guerre che scoppiano in varie parti del pianeta. I consumi energetici, infatti, sono in continuo aumento e aumenteranno ancora esponenzialmente sia per la crescita della popolazione mondiale, sia per il cambiamento climatico in atto che con la prevista salita delle temperature medie in molte parti del pianeta farà diventare i condizionatori non un optional, ma una necessità». Tutto ciò in una situazione in cui, però, secondo quanto chiarito da Miani, le dieci principali aziende mondiali per valore della produzione sono dieci multinazionali petrolifere che sviluppano singolarmente fatturati (e utili) degni del Pil di un Paese di medie dimensioni e che, ovviamente, hanno una fortissima capacità di lobbying tesa a salvaguardare i propri interessi, limitando la diffusione delle rinnovabili o cercando di accaparrarsi direttamente anche la produzione di rinnovabili. «Per questi motivi – ha continuato il presidente di Fototherm –, l’indubbia potenziale “democratizzazione” della produzione energetica che potrebbe derivare da un forte sviluppo delle rinnovabili, ci sarà, ma sarà limitata e meno significativa di quanto auspicato e preconizzato dai tanti movimenti per la “Democrazia energetica” sorti nel mondo. Infatti, le forti azioni di lobbying poste in essere dai petrolieri, gli ostacoli spesso pretestuosamente frapposti dai governi (nazionali e locali) a uno sviluppo adeguato delle rinnovabili, oltre al timore dovuto al fatto che le tecnologie per la produzione di pannelli fotovoltaici e batterie sono per lo più in mani cinesi, impedirà con ogni probabilità di raggiungere gli obiettivi che l’Italia e l’Europa si sono poste per il 2030».

Un po’ più ottimista la visione di Marco Tam, presidente del Gruppo Greenway che con i suoi tre impianti a biomasse produce il 2% dell’energia consumata dalle utenze domestiche in Friuli Venezia Giulia, consentendo un risparmio di 4mila tonnellate di petrolio all’anno. «Forse – ha affermato – io sono un po’ più partigiano perché al momento produco biometano che immetto nei tubi per contribuire a sostituire il gas russo con il gas italiano, made in Friuli. Sono convinto, però, che, sulla scorta di quanto fatto prima da Mattei, poi da Gardini, dovremmo cercare di perseguire l’indipendenza energetica del nostro Paese, sottraendo almeno in parte il controllo della produzione energetica ai grandi colossi multinazionali, con una conseguente maggior democrazia energetica e ritengo che le rinnovabili costituiscano una grande opportunità in questo senso. Noi, già adesso, non siamo certamente davanti a un’energia compiutamente democratica, ma sicuramente un po’ più liberale che in passato. Le grandi potenze petrolifere, infatti, hanno dovuto allentare una parte del loro oligopolio sia a seguito delle normative sulla sostenibilità, sia per la necessità di coprire l’aumento dei consumi con fonti alternative. Credo – ha concluso Tam – che in futuro ci potrà essere un’ulteriore parziale liberalizzazione delle produzioni energetiche, con un avvicinamento ai comuni cittadini, anche se, vista l’importanza strategica e geopolitica dell’energia, difficilmente arriveremo a una vera e propria democrazia energetica. Ovviamente per rompere gli oligopoli e limitare le concentrazioni nelle produzioni energetiche, molto dipenderà dalle scelte più o meno coraggiose che i decisori politici vorranno adottare e la speranza è che abbiano le competenze e la volontà necessarie a fare le scelte giuste».

«La democratizzazione dell’energia attraverso le produzioni rinnovabili – ha sostenuto Marzio Ottone, presidente di Quadrifoglio srl e già fra gli iniziatori della produzione di biogas in Italia (che oggi conta 2.200 impianti) – non è una favola raccontata al popolo, ma oggettivamente oggi per molti Paesi l’investimento in rinnovabili è più che altro greenwashing. Basti pensare che i Paesi arabi, che come noto sono grandissimi produttori petroliferi, destinano alle rinnovabili solo l’uno per cento dei propri investimenti complessivi. Inoltre, è di pochi giorni fa – ha continuato Ottone – la notizia che nonostante la prorompente crescita delle rinnovabili in tutto il mondo, al momento le fonti fossili rimangono assolutamente in gioco e continuando con questi ritmi non riusciremo mai a centrare gli obiettivi di decarbonizzazione e di contenimento dell’innalzamento delle temperature previsti per il 2030 e il 2050. Tanto più se, poi, in vari Paesi, come in Italia, si mettono paletti alla realizzazione di parchi fotovoltaici su terreni agricoli, nonostante l’attuale superficie di terreni messi in seat aside, se trasformata in parchi fotovoltaici sarebbe molto superiore a quella che servirebbe per raggiungere gli obiettivi al 2030 previsti per il nostro Paese. Oggi – ha chiarito in conclusione Ottone – in Italia ci sono 1,2 milioni di impianti fotovoltaici, il 75% dei quali sono fino a 20 Kilowatt, il 20% sono fra 20 Kilowatt e un Megawatt e il 5% sono oltre il Megawatt, ma il 5% dei grandi impianti produce oltre il 55% dell’energia da fotovoltaico italiana. Quindi, se si continuano a favorire gli impianti piccoli a discapito dei grandi, la possibilità di raggiungere i famosi obiettivi semplicemente non esiste».


La democrazia energetica, dunque, secondo Tam, Ottone e Miani, potrà realmente aumentare solo se i decisori politici avranno il coraggio di sostenere maggiormente le produzioni rinnovabili prendendo le loro decisioni con competenza e senza lasciarsi condizionare dalle lobby di ogni settore che, nel campo dell’energia, giocano una battaglia senza esclusione di colpi. Per quanto riguarda, infine, l’Europa, servirà il coraggio di fare scelte unitarie e sensate, senza battaglie interne fra i vari Paesi membri dell’Ue, e di evitare decisioni approssimative e sbagliate come quelle che hanno portato l’Europa (e particolarmente Germania e Italia) a passare dalla situazione degli anni 2000 quando erano leader mondiali nelle tecnologie e nelle produzioni di sistemi fotovoltaici a quella attuale in cui sono totalmente dipendenti dai pannelli e dalle batterie cinesi.

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